Nasciamo e viviamo nella convinzione di essere nel giusto. La nostra vita si svolge tutta nel sostentamento della nostra ragione: ogni cognizione, pensiero, azione che esca da noi ha lo scopo di dimostrare che gli altri hanno torto perché solo così riusciamo ad affermarci come individui.
Cominciano ad insegnarcelo appena siamo in grado di apprendere: sii il più bravo, comportati bene, devi agire in un certo, devi primeggiare, supera i tuoi limiti, non arrenderti mai, puoi controllare tutto, non aspettarti nulla dagli altri, gli altri non ti capiscono…
È un incessante tantra i cui effetti sono riscontrabili nel modo in cui ogni giorno ci esprimiamo, a prescindere dall’ambiente in cui ci esprimiamo.
Diventiamo tutti urlatori. Ci consumiamo quotidianamente in una gara infinita a chi la dice per primo, a chi la dice meglio, a chi la dice più lunga. Non ascoltiamo nessuno perché nessuno ci sta a sentire. A nessuno interessa ascoltarci. Perché sono tutti presi dal proprio urlo.
E noi siamo talmente concentrati nel nostro gridare che non sapremmo nemmeno descrivere noi stessi. Parliamo per aforismi, fatichiamo a procreare un pensiero originale, fatichiamo a scrivere di qualunque argomento – quand’anche esso fosse una semplice cronaca – non sappiamo raccontare, la parola ci ha abbandonati, la capacità espressiva…questa sconosciuta.
Eppure essere ascoltati è una necessità, è una delle nostre maggiori tensioni: abbiamo bisogno dell’altrui attenzione, siamo portati a considerarla anche più importante del grado di interesse che possano recare i nostri argomenti.
Di norma, coloro che usano un tono di voce molto “alto”, o addirittura prevaricante, sono i più insicuri. E forse i più pigri. Non avendo abbastanza confidenza con l’argomento, essendo carenti di informazioni e autostima a sufficienza per sostenere la propria opinione, ricorrono all’aggressività. Un’aggressività che si traduce non tanto strettamente in un’aggressione verbale, quanto piuttosto in supponenza: saltare alle conclusioni, dare risposte-eco, usare un dato solo perché più ricorrente, interpretare arbitrariamente, e così via.
Per contro, chi sappia padroneggiare la materia, o sia in grado di corroborare e mitigare le discussioni con conoscenza ed equilibrio, non sarà mai un urlatore. Non ne avrà bisogno. Saprà destare interesse e otterrà attenzione in modo fisiologico. Perché chi sussurra desta molta più curiosità di quanto non faccia chi strilla. Basti pensare a quanto diveniamo curiosi se qualcuno bisbiglia all’orecchio del vicino o se parla a basa voce magari proprio con lo scopo di non raggiungere orecchi indiscreti…Vorremmo carpire un dettaglio, esser partecipi perché fondamentalmente detestiamo essere esclusi e non ci piace avere l’impressione di rimanere un passo indietro.
Come possiamo dunque ottenere la considerazione del nostro interlocutore?
Saper dire la cosa giusta con la giusta intonazione non è impossibile, è un’abilità che si può conquistare.
Ogni giorno dobbiamo mettere in pratica alcune sane abitudini che oltre ad ispirarsi al buon senso, sono i principi base dalla comunicazione in senso allargato.
- Abbandonare i pregiudizi
Non conta cosa sia vero, conta cosa pensiamo noi e questo ci porta inevitabilmente al pregiudizio. È la prima cosa da cambiare. - Ascoltare
Non ascoltiamo per partecipazione ed empatia, ma per rispondere. Invece tacere e concentrarsi su ciò che dicono gli altri è spesso la cosa migliore. - Comprendere
Non ci interessa se non è un nostro problema, ci interessa se può darci qualcosa. Capire è un processo che non esclude l’ego ma bandisce l’egoismo. - Abbandonare i clichè
Non sappiamo esprimerci se non attraverso ciò che ci accomuna più o meno tutti. Con un po’ di impegno possiamo evitare di dare sempre le stesse risposte. - Contribuire (sussurrare)
Non siamo quasi mai cauti, troppo spesso improvvisiamo. Ma essere tuttologi non paga: possiamo andare a segno anche con un elegante sussurro. O con un signorile silenzio.